L’insalata della nonna
L’insalata di mia nonna aveva una particolarità: era più salata di un cucchiaio di acqua di mare. Mia nonna era solita salare ogni cosa molto più del dovuto e non nascondeva a nessuno il motivo per il quale – quasi in maniera automatica – lei abusasse del sale.

«Durante la guerra non c’era sale, non c’era niente. Ora mi devo rifare!» – esclamava ridendo.

Alla fine tutti noi eravamo abituati ai sapori forti della nonna, ma non era solo il sale ciò che per nonna era diventato importante. C’era una seconda regola nella casa dei genitori di mio padre: “Nel piatto non deve restare nulla. Se lo prendi, lo finisci. Punto”.

Nonna aveva vissuto la Guerra, quella vera. Aveva vissuto sulla sua pelle la ritirata tedesca lungo la Linea Gotica e l’entroterra romagnolo e ricordava la notte in cui un tedesco aveva mangiato davanti ai suoi occhi di bambina una fetta di pane di segale ricoperta di strutto e la notte della vigilia di Natale quando gli Americani regalarono ad ogni bambino forlivese una barretta di cioccolato.

Per mia nonna il cibo non è mai stato uno scherzo o qualcosa di accessorio. Il rispetto per il cibo era per lei qualcosa di innato, era un comandamento iscritto nel suo DNA, una lezione appresa con la fame e la miseria. Per la sua generazione sprecare cibo era semplicemente inconcepibile, un peccato mortale da non commettere. Mai.

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Piccolo ristorante nell’entroterra toscano.

Io e Mara ceniamo dopo una giornata di temperature torride e una raccolta di cibo invenduto nei mercati rionali di Firenze (documentata con oltre 830 clip girate! Siamo dei folli!)

Al nostro fianco grande tavolata: due famiglie con rispettivi 4 bambini totali. Una comitiva felice e rumorosa.

Io li guardo e penso tra me e me che forse quello che sta per succedere (perché so che sta per succedere!) non avrebbe avuto per me alcuna importanza anche solo sei mesi fa.

«Se non ti va, lascialo lì!» – esclama una delle madri, come se fosse una frase fatta, un messaggio pre-compilato con il quale rispondere all’amica su Whatsapp. Il piccolo si alza e corre a giocare nello spiazzo antistante il ristorante.
«Posso andare anch’io?» – chiede la bimba.

Dieci secondi più tardi 4 piatti restano sul tavolo praticamente immacolati.

Un’ora e mezza più tardi una cameriera porta via dal tavolo della comitiva una quantità di cibo avanzato letteralmente vergognosa.
Quindici minuti dopo li incrociamo mentre mangiano – tutti e otto – un gelato lungo il viale.

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Mi manca l’insalata della nonna.

Photo by Guillaume Lobet on Unsplash

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