Siamo a Japigia, quartiere alla periferia di Bari. Qui in mezzo a palazzi e cemento sorge l’orto sociale della Cooperativa Semi di Vita. Melanzane, pomodori, peperoni, barattieri, coltivati su terreni confiscati alla mafia per costruire un futuro di legalità e sostenibilità.
Ma come può un semplice orto urbano contrastare una crisi globale?
Di tutta l’energia impiegata nel sistema alimentare mondiale il 38% viene utilizzata per produrre cibo che nessuno mangerà. Lo spreco alimentare è così responsabile della produzione di enormi quantità di gas serra, conquistando il terzo posto per maggiore quantità di CO2 dopo Cina e Stati Uniti.
Ma l’energia non è l’unica risorsa ad essere inutilmente consumata. Per produrre cibo che verrà gettato si sprecano 1,4 miliardi di ettari di terreno, quasi il 30% dell’area coltivabile nel mondo, e circa 250 Km3 di risorse idriche, un quarto di tutta l’acqua impiegata nell’irrigazione.
Quello di Semi di Vita è un orto interamente biologico. La terra è messa a disposizione di chi vuole prendersene cura riscoprendo così l’enorme soddisfazione che nasce dal coltivare i propri ortaggi.
Ma in questo orto si semina molto di più di semplici verdure: si fa educazione, si lavora contro lo spreco e si restituisce dignità attraverso il reinserimento sociale di giovani in carico ad istituti penitenziari o ex-detenuti.
“Un pomodoro non giudica, sai? Chiunque lo può coltivare” mi dice Angelo e ha ragione. Questo luogo è molto più di un orto: questo luogo accoglie, crea inclusione e dona speranza.